Siamo in un momento di sovrabbondanza di informazioni.
Le persone generano miliardi di contenuti ogni giorno e i brand cercano di infilarsi in questa onda producendo ulteriore contenuto, creando spesso rumore invece di armonizzarsi con i flussi generati dagli utenti.
E’ uno tsunami informativo, le persone stanno cominciando a rifugiarsi ritirandosi in network più piccoli, privati, nelle chat di facebook messenger, nei gruppi chiusi, su WhatsApp, Telegram e snapchat, bloccando le pubblicità dei brand, ingannando gli algoritmi dei social network, tutelando la propria privacy.
I brand vengono tagliati fuori, e nel 2015 la reach organica di facebook si è ridotta di un ulteriore 50%: e la colpa è degli advertiser. Le grandi marche devono porsi delle domande chiave se desiderano convivere con gli utenti negli ambienti digitali.
Secondo la ricerca condotta da PageFair e Adobe (PDF scaricabile qui) sullo stato dell’adblocking nel 2015, il trend sul periodo Q2 2014 – Q2 2015 segna una crescita YoY del 44% con una perdita stimata per mancati ricavi di oltre 21 miliardi di dollari. E per il 2016 se ne stimano oltre 41 miliardi. Andate alla slide 4 e piangete.
[slideshare id=51392968&doc=2015adblockingreportfinal8-7-15-150807165712-lva1-app6891]NO ADVERTISING, NO PARTY
Il ricorso a plugin di adblocking sta prendendo piede rapidamente e i publisher si domandano cosa fare per evitare che il fenomeno assuma una dimensione tale da rappresentare un problema. Problema che impatterebbe sull'intero sistema.Di fatto, si sa, è la pubblicità a pagare il contenuto: senza advertising non ci sarebbero i content creators, dall’editoria “tradizionale” online fino alle webstar che in qualche modo cercano la via per monetizzare e, tipicamente, trovano la più breve nella pubblicità a contorno dei loro contenuti.
E qui entra in gioco l’utente. I formati pubblicitari online hanno assunto un taglio troppo invadente e di pura interruzione, a livelli più fastidiosi della pubblicità in TV che è l’emblema dell’interruption marketing. Non siamo più disposti ad accettare 30 secondi di pubblicità in pre-roll per accedere a un contenuto video di pochi secondi.
Il compito dei publisher è ora quello di sforzarsi e individuare soluzioni coerenti con le esigenze sia degli inserzionisti (vendere) che degli utenti (consumare contenuto). Soluzioni che al momento non ci sono a livello di sistema ma che devono giungere alla svelta; nel frattempo serve maggiore “onestà” nelle pianificazioni in termini di targeting, cercando sempre più di parlare agli utenti davvero in linea con il business del brand e/o con il contenuto dell’advertising, con frequency cap più umani.
Non ultimo, l’advertising così insistente e pervadente genera un abbattimento delle performance di caricamento delle pagine web che ricade nuovamente sull’utente, peggiorando la sua esperienza, innervosendolo, con impatti rilevanti a livello di sistema (a cosa serve aumentare la banda se poi viene saturata dall’advertising?).
Infine, la qualità dell’advertisign è ancora troppo bassa e troppo incentrata sulle performance, occorre aumentare il senso creativo e di contenuto. evolvere le strategie di posizionamento del contenuto pubblicitario puntando infine a sorprendere l’utente per qualità e coerenza.
YOU SHALL NOT PASS!
cit. Gandalf facing the BalrogChiudo con una suggestione: e se l’adblocking si configurasse come movimento culturale, che portata avrebbe? Quanto si eleverebbero i rischi di un tale fenomeno?
Meditate, advertiser… meditate.